venerdì 18 luglio 2014

Cibo, salute e ricchezza



Tutti sanno che il cibo è salute.
Una corretta alimentazione e una costante attività fisica sono la miglior cura preventiva per ridurre i rischi di malattie gravi.

Le campagne pubblicitarie per la promozione dei corretti stili di vita (come ad esempio la rete europea Salus o il programma “Guadagnare Salute” del Ministero della Salute) puntano sia a migliorare la salute dei singoli cittadini, sia al contenimento dei costi sanitari, perché prevenire è meglio che curare, dice il proverbio, e, elemento non secondario, costa meno.
L’informazione, la conoscenza e l’attenzione alla salute sono argomenti che dovrebbero essere in cima alle priorità delle agende governative e della vita dei singoli cittadini, visto che l’alimentazione è vita e salute.
Però, la questione da affrontare è un’altra, la corretta alimentazione è inversamente proporzionale alla ricchezza economica di una popolazione.

Fra Medioevo ed età Moderna la gotta era la malattia del benessere, i ricchi per dare sfoggio del denaro posseduto s’ingozzavano di carni, salse, cibi elaborati e vini in quantità esagerata, mentre i poveri si nutrivano di cibi più sani, quelli che oggi sono stati rivalutati e sono di gran moda, ma in quantità troppo esigua per un’alimentazione adeguata agli sforzi fisici a cui erano costretti o troppo monotematica.
Nel contemporaneo chi ha redditi più elevati può permettersi una sana alimentazione, i migliori alimenti per la salute, frutta e verdura biologica, di cucinare ricette semplici ma con ingredienti eccelsi (quelli dei poveri di un tempo…) e sostenere i costi di un’attività fisica continuativa nelle strutture attrezzate.
Per tutti gli altri, una rilevante fetta della popolazione, è molto difficile potersi alimentare correttamente.

I costi per il cibo sono lievitati, anche se di stagione, e la riduzione del budget famigliare costringe al risparmio, spesso scegliendo prodotti meno genuini, meno sicuri, poco controllati e con una filiera non sempre trasparente.
La riduzione dei costi genera una spirale negativa su un asse temporale di lungo periodo: la qualità è sacrificata in nome di un risparmio fittizio, si seguono abitudini alimentari errate e i rischi di malattia crescono in maniera esponenziale.  
Alcun icibi escono dalla dieta quotidiana, i pasti diventano più monotematici e l’alimentazione al risparmio aumenta l’apporto di componenti dannose per l’organismo, ad esempio l’eccessiva presenza di grassi e di zuccheri, con un conseguente aumento delle malattie, l’obesità in primis.
Una delle malattie croniche più diffuse, insieme al diabete, negli strati più poveri dei paesi ricchi di oggi (basti pensare, ad esempio, agli Stati Uniti dove si fa largoconsumo del burro di arachidi o del fast food,ricchi di grassi e zuccheri, economici e capaci di saziare).

Il punto nodale da risolvere è proprio questo: è necessario garantire un accesso equo e diffuso ai cibi di qualità, per favorire la corretta alimentazione a tutti i livelli, riducendo la spesa sanitaria pubblica, di conseguenza, quella dei privati cittadini e le incidenze delle malattie croniche e gravi.
Si stanno facendo molti passi in questa direzione, ma non basta, la diffusione del biologico e del km 0 sono trend in crescita, purtroppo questa micro economia non è sostenuta in maniera sufficiente dalle politiche governative a sostegno della crescita e dello sviluppo.
Bisogna trovare il giusto equilibrio fra qualità e prezzo e creare una cultura del cibo, la conoscenza dei prodotti, favorendo il  rapporto fiduciario diretto fra produttori, venditori ed acquirenti.  

Le governance dovrebbero impegnarsi a premiare, in modo trasparente e meritocratico, le imprese che utilizzano ingredienti i di qualità per i loro prodotti, riducendo le sostanze non salutari per il nostro organismo (grassi, zuccheri, coloranti, conservanti, etc) e che seguono un percorso di filiera sostenibile, non solo premiandole con sgravi fiscali ma con campagne di promozione culturale mirate, dirette ad educare il consumatore nella scelta consapevole.  
Bisognerebbe, poi, semplificare maggiormente le etichette, i caratteri sono piccoli, le indicazioni sono distribuite sulla confezione in maniera disomogenea, ci va molto tempo per leggerle e confrontarle. Le etichette dovrebbero esser scritte in caratteri più grandi e andrebbero sottolineati in chiaro gli elementi meno salutari.
Se ci fosse una volontà precisa, a livello nazionale e sovranazionale, di sostenere appieno la qualità e la salute, sarebbe più semplice uniformare la comunicazione attraverso iniziative a larga scala che valorizzano le aziende virtuose e sostengono il consumo intelligente.
Promuovere la cultura economica della salute, favorire l’economia sostenibile, in primo luogo nazionale, e ridurre i costi in trasversale sarebbero i primi passi per attuare politiche di prevenzione e di salute diffuse.

L’unità di intenti, la conoscenza e la trasparenza, supportate da tutti gli attori in campo, andrebbero a discapito delle aziende meno virtuose, a cui non si chiede di sparire dal mercato ma di migliorare la qualità dei loro prodotti.
La cultura dell’alimentazione e della salute (sapere cosa si mangia, da dove viene, la stagionalità, il fabbisogno giornaliero, come sono prodotti, etc), usando un linguaggio chiaro, diretto e più attrattivo, e un’equa politica qualità/prezzo sono i punti chiave per realizzare una buona economia di tutto il comparto sociale, sanitario e agro alimentare di un territorio.











B. Saccagno


Biblio-linkografia



Linee Guida per una correttaalimentazione, pubblicato da INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione)


Alimentazione corretta per la prevenzionedei tumori  pubblicato da AIRC (Associazione Italiana Ricerca contro il Cancro)

Obesità e diabete:





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