venerdì 18 luglio 2014

Km 0




Oggi il Km 0 è diventato una locuzione di gran moda, tutti ne parlano e, se fino a pochi anni fa, tutti avrebbero pensato ad un automobile nuova ma di prezzo inferiore oggi si pensa in primis alla produzione alimentare, prova ne da il motore di ricerca più usato al mondo, non c’è bisogno di indicarlo, seguito via, via da altre declinazioni legate allo stesso concetto.

La riduzione del chilometraggio significa filieracorta, ossia un avvicinamento reale tra produttore e consumatore, non solo a livello di strada percorsa, con conseguente riduzione delle emissioni di CO2 dovute ai mezzi di trasporto, ma anche culturale e di conoscenza reciproca, di scambio.

Naturalmente il concetto non deve essere troppo restrittivo, perché gioco forza per taluni prodotti, assenti dal territorio, si deve ampliare il raggio d’azione di rifornimento, ma deve possedere tre elementi intrinseci di base: la qualità del prodotto, che comprende anche ottimizzazione dei trasporti ed equità di diritti per tutti gli stakeholder partecipi alla filiera; ottimizzazione delle risorse in chiave socio-economico-culturale; la conoscenza.

Il consumatore viene coinvolto in modo consapevole nel percorso di conoscenza culturale del processo produttivo, del produttore e del prodotto, ossia, si ritorna al rapporto one to one proprio dell’economia da mercato e da bottega, dove si stabiliva un rapporto di fiducia fatto di domande e risposte che accresceva la capacità di discernere la qualità del prodotto.

Oggi tutto questo sembra una conquista ma è un riappropriarsi di azioni economiche che hanno accompagnato l’uomo nella sua storia: il recarsi dal produttore a vedere e sapere cosa si acquista, seguendo il ritmo stagionale e la logica razionale basata sul rapporto qualità/prezzo/vantaggio economico; il sapere come, dove e chi produce e quali sono i passaggi della catena produttiva, cosa che oggi si è andata a perdere; la fiducia nella professionalità, non in una faccia o un nome, ma nel prodotto realizzato da chi sa produrre attraverso sistemi sostenibili per la qualità; l’unione di tanti piccoli produttori per avere più forza economica sul mercato, attraverso scambi ed integrazioni a tutti i livelli di filiera per avere un miglior prodotto e per aver maggiore scelta, sempre su logica di qualità; la valorizzazione, o meglio rivalutazione, del lavoro manuale, dell’azione concreta di saper fare qualcosa, non solo intellettuale ma manuale, l’artigiano, l’artefice, il professionista che lavora con le sue mani un prodotto, fattore, oggi, non secondario per riappropriarsi di un’economia sana, vitale ed sostenibile in autonomia.

Fondamentalmente non si tratta di una scelta legata ad orizzonti politici e culturali strettamente inseriti in recinti ben delineati, ma un percorso di riappropriazione del ruolo del consumatore attraverso una logica razionale di sostenibilità, prima di tutto culturale ed economica, ossia, si risparmia, migliorando la qualità della vita, consumando meno, meglio e creando un circolo virtuoso economico che permette di sopravvivere anche in tempi di crisi, anzi di diventare un volano di rilancio dell’economia di uno stato.

Sapere cosa si compra, come si produce, riducendo costi e guadagnando in qualità, attraverso un processo che mette di nuovo la figura del consumatore e del produttore sullo stesso piano e in dialogo è una scelta consapevole e sostenibile.

Razionale e misurabile in concreto con costi e benefici, la cultura, il sapere, la conoscenza è anche, e soprattutto questo, un beneficio quantificabile su corto, medio e lungo periodo.









B. Saccagno

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